Repubblica.it – Francesca Cerruti, nella “fabbrica delle donne” tra i robot che hanno rivoluzionato la chirurgia
Donne impresa 128. Trantaquattro anni, è vice direttore generale di ab medica, società che produce tecnologie medicali avanzate e sistemi di chirurgia robotica mininvasiva dove le donne sono il 70 per cento dei dipendenti. Un’azienda in forte crescita che nel 2018 ha raggiunto i 282 milioni di euro di fatturato. Il futuro? La telemedicina
La fabbrica delle donne si chiama ‘ab medica’, sono il 70 per cento dei 609 dipendenti. Da un anno vice direttore generale è Francesca Cerruti, 34 anni, in azienda da quando ne aveva 21, figlia del fondatore e amministratore unico Aldo. Seconda di quattro fratelli, con Alexander che lavora nella sede francese, è la figlia su cui il patron ha puntato per la continuità di un’impresa iniziata 35 anni fa, leader nella produzione e nella distribuzione di tecnologie medicali avanzate e di sistemi di chirurgia robotica mininvasiva, ortopedica, spinale, cresciuta nell’ultimo decennio fino al fatturato di gruppo 2018 di 282 milioni di euro.
Il robot chirurgico da Vinci, prodotto americano ideato e realizzato nella Silicon Valley, è arrivato in Italia e in Europa con la sua azienda nel 1999, e dal 2015 è stato distribuito anche in Spagna, Portogallo e Slovenia. Gli inizi di ab medica, nel 1987, hanno visto l’introduzione del primo catetere multilume in anestesia e otto anni dopo è toccato a Gasless, il primo sistema che consente la chirurgia laparoscopia senza uso di gas.
A Cerro Maggiore, in provincia di Milano, inaugurato nel maggio 2015 c’è il nuovo head quarter della holding, con il polo produttivo e il parco scientifico dove lavorano sessanta ricercatori. La sede è una costruzione avveniristica che assomiglia a un motoscafo superveloce, attenta ai criteri dell’efficienza energetica e degli ambienti di lavoro, progettata dall’architetto Giuseppe Tortato. Altre due sedi produttive sono in Francia a Méry-Sur-Cher, nella Valle della Loira, dove si creano e commercializzano soluzioni medicali innovative e minimamente invasive, e a Cantù, vicino Como, dove è dislocata l’attività di produzione, assemblaggio e collaudo di dispositivi medicali, con tre uffici in Italia: Padova, Roma e Pisa.
“Ho fatto esperienze in tutti i dipartimenti dell’azienda, dall’ufficio contabilità al magazzino, alla guida dell’ufficio marketing e comunicazione, con persone che mi hanno aiutato a capire lavori differenti. E ho avuto la fortuna di essermi formata per cinque anni e mezzo in sala operatoria per imparare come si affiancano i chirurghi, il che rappresenta il nostro core business, perché produciamo e rivendiamo sul territorio italiano apparecchiature per interventi nell’ambito di chirurgia robotica e facciamo assistenza al medico mentre le utilizza”.
Ma prima, per alcuni mesi è stata negli Stati Uniti, a Seattle, per un apprendistato presso la Endogastric solutions, un fornitore di ab medica che ancora oggi ne distribuisce i prodotti. “La buona sorte ha voluto che entrassi in azienda in un momento topico, nel decennio in cui la società ha raddoppiato il fatturato e il personale. Anni davvero significativi per noi, nei quali ho cominciato a guardare alla gestione, alle risorse umane e a tutto quello che fa girare il motore di questa impresa”.
Romana di nascita, cresciuta a Milano, dopo il liceo classico San Carlo ha preferito all’università il lavoro. “Sapevo che sarei entrata in azienda, presto o tardi. Ma prima mi sono ritagliata uno spazio di libertà. Rinunciare all’università è stata una scelta dettata dalla voglia di fare, di essere indipendente, per potermi pagare le bollette da sola. Volevo fare la cuoca e aprire un ristorante. Una passione la cucina, come la filosofia e la montagna”.
Su suggerimento di un’amica che l’aveva fatto dieci anni prima, parte per Honolulu per studiare l’inglese e ci rimane quattro mesi e mezzo. “Era una meta lontana da tutto, un viaggio che avevo desiderato in un posto da sogno, dove non ho mai incontrato italiani, solo qualche europeo, invece del solito corso di inglese da cui si torna parlando spagnolo. In famiglia l’hanno accettato perché mi hanno vista così motivata e, come direbbe mio padre che si accontentava di qualche telefonata ogni tanto, con la testa sulle spalle. Cercavo di fare esperienze lavorative e lui vedeva in me una persona capace di fare e di apprendere un mestiere”.
Il primo sistema da Vinci in Italia e anche in Europa è stato installato in Toscana, a Grosseto, voluto da un chirurgo generale, Cristoforo Giulianotti che ha creduto in ab medica e da lì è cresciuta anche la sua carriera: oggi è primario dell’ospedale universitario di Chicago e ha una fama internazionale.
“Secondo una cultura che mi arriva da mio padre, reinvestire in azienda le risorse per acquisire competenze e infrastrutture è stata sempre una priorità. L’azienda cresce nei numeri e cerchiamo di realizzare progetti nuovi e importanti. La prima cosa è fare meglio quello che già facciamo, possiamo sviluppare, conoscere, potenziare secondo le necessità del core business”.
Sette partnership con istituzioni scientifiche italiane e internazionali, dieci marchi depositati e undici brevetti registrati oltre confine, i prodotti ab medica sono presenti in 430 ospedali italiani, 1.160 reparti, 50 brand distribuiti, 15mila ordini l’anno, sette sistemi robotici di cui è distributore unico. I salti di qualità si sono avuti ogni volta che un nuovo prodotto è entrato in distribuzione. Nel 2003 è stata la volta di Cyberknife, primo sistema robotico per radiochirurgia stereotassica fullbody, una metodica di trattamento dei tumori. Con lo sguardo sempre rivolto al futuro, è nata nel 2008 Genomnia, spin off che si occupa di ricerca e diagnostica genetica. Lo sviluppo aziendale si è avvalso anche della campagna acquisti di altre società del settore, “abbiamo cercato prodotti innovativi e siamo andati ad acquisire aziende sul territorio italiano che potessero essere complementari al nostro business”.
Tra il 2009 e il 2010 ci sono state le acquisizioni di A Tlc, società leader nelle telecomunicazioni, e di Telbios, che opera nel settore della telemedicina. Nella holding è poi entrata WinMedical, azienda italiana che si occupa della progettazione, dello sviluppo e della commercializzazione di sistemi medicali wireless, già spin-off della Scuola superiore di studi e perfezionamento Sant’Anna di Pisa. Meno brillanti per ora gli esiti per le Officine Ortopediche Rizzoli, acquisite dalla società nel 2015, dal 1896 l’eccellenza italiana nella produzione di protesi, apparecchi ortopedici, ausili e attrezzature ospedaliere. “Rizzoli è quella che fa più fatica a ripartire, ma sono fiduciosa, negli ultimi anni c’è stata una riorganizzazione, siamo stati tre anni a testa bassa per mettere a punto un piano di rilancio”.
Si è sposata nel 2015 con Gabrio Zandonà, professione sportivo, allenatore della Federazione italiana di vela nell’ambito del 4,70, incontrato in barca a vela e frequentato dal 2012, anno delle olimpiadi di Londra. Ad agosto dell’anno scorso è nata Olivia. Un altro impegno che Francesca Cerruti intende portare avanti per il momento senza baby sitter ma in prima persona e con l’aiuto della nonna materna e del marito.
“Una bimba moderna, in quattro mesi ha preso sei aerei. Prima di lei mi sono dedicata ai viaggi nella natura, in luoghi esotici e posti sperduti come la Patagonia cilena e l’Islanda, viaggiare mi riempie e mi dà la carica. Nelle giornate uggiose di Milano io e mio marito cuciniamo. Adesso siamo focalizzati su Olivia. Sto rientrando piano piano in azienda, cerco di stare con lei più di mezza giornata”.
Il resto è lavoro che richiede presenza e concentrazione. “Credo di essere cresciuta molto di testa, maturata, e di aver anche preso consapevolezza di quale può essere il mio ruolo. Dipende dai momenti, come per tutti, mi rendo conto di avere delle capacità per i risultati che ho raggiunto nella gestione di alcuni progetti; ci sono le giornate in cui mi tremano le gambe per le responsabilità, ma fino ad oggi nessun indicatore dice che non riusciremo”.
La crisi economica ha toccato anche l’ambito della sanità e del medical device ma non ha visto un rallentamento drammatico come è avvenuto in altri settori. “Ci siamo dovuti riorganizzare per le esigenze dell’ospedale privato, anche se per il 70 per cento lavoriamo con il pubblico che ha visto tagli drastici e l’incertezza a livello politico ci accompagna ormai da otto anni. Abbiamo di fatto modificato il nostro modo di lavorare per rendere l’offerta più soddisfacente. È nata una società di leasing, ab renting che si occupa dei finanziamenti delle tecnologie e dei sistemi robotici, in modo che l’ospedale non sia costretto ad acquistare il bene ma possa noleggiarlo nel tempo. Ci siamo impegnati nella formazione per creare nuove competenze in collaborazione con la Bocconi e con i nostri dipendenti amministrativi, perché le grandi tecnologie che rivendiamo devono essere accompagnate da un piano di sostenibilità economica. Tutto questo ha pagato: oggi siamo punto di riferimento per le istituzioni e in pole position per l’aggiornamento”.
Le concorrenti dell’azienda milanese sono tutte le grandi multinazionali del mondo medicale, perché ab medica rivende una vasta serie di prodotti “orientata su un servizio eccellente, sull’esperienza e sulla vicinanza al medico. Il più delle volte è in Italia che troviamo i medical device di qualità migliore. Le previsioni di fatturato del gruppo per l’anno prossimo parlano di un più 12 per cento”.
Un’azienda che mette la persona al centro, a livello di contratto e per l’elasticità dei tempi di lavoro, “tutto quello che la legge concede e oltre. Ho provato a organizzare l’asilo nido e non è stato possibile per mancanza di spazi, ma sicuramente è quello che vorrei fare. Offriamo durante l’anno per tutti, donne e uomini, corsi di educazione alimentare, di controllo dello stress da lavoro, di gestione della qualità dei tempi in ufficio”.
Con ab Saturday, una volta all’anno l’azienda si apre alle famiglie e ai bambini. “In ab medica non si è mai vissuto il problema dell’uomo che prevarica e della donna che deve combattere per fare carriera; c’è tra i diversi generi un giusto equilibrio e una buona relazione”. Un anno fa è partito lo smart working, due giorni completi al mese di lavoro a casa, un progetto pilota per adesso ma la direzione è quella, responsabilizzando le persone e concedendo modalità di lavoro più moderne”.
La sfida più ambiziosa che Francesca Cerruti vuole affrontare nell’immediato futuro è quella sulla telemedicina e la gestione del paziente a domicilio partendo dall’ospedale, dal post intervento per accompagnarlo in tutto ciò di cui può avere bisogno. “Con le tecnologie che abbiamo, altre che andranno prodotte, altre ancora che cercheremo all’estero. Sono quindici anni che mio padre ne parla. Ab medica è la sua creatura, la sua vita, e lui, per noi, è soprattutto una guida sui brain storming e gli obiettivi che intendiamo raggiungere. È classe 1943 ma è il più tecnologico e più avanti di tutti. Sulla telemedicina è stato l’ideatore dei primissimi esperimenti della gestione del paziente a domicilio sul modello israeliano”.
In prospettiva, l’intenzione è di non limitarsi al business in Italia ma andare oltreconfine e sfruttare la capillarità di ab medica sul territorio europeo. “I nostri prodotti sono certificati, quando saremo pronti con l’organizzazione, punteremo sugli Stati Uniti. Nei miei piani c’è l’idea di traghettare ab medica verso una nuova dimensione, perché mi sembra limitato per una realtà come questa fermarsi. Siamo un bel gruppo di management che crede molto nel marchio dell’azienda. Per la squadra e le sue competenze, penso possa trasformarsi in una realtà internazionale”.
Credits: PATRIZIA CAPUA – Repubblica.it – 27 Gennaio 2019